26 ottobre 2009

Dove sta la rendezione, Mr bunny Cave?

Venerdì sera scorso, al meritevole teatro Dal Verme, si è assistito ad un evento. Musicale e non solo.
Come spesso accade quando si parla di Nick Cave, vi era la netta compresenza di estremi opposti fin dal momento di attesa pre-concerto.
Potete solo immaginare lo stato confusionale in cui sono entrato quando ho scoperto che "F1" sul biglietto non significava 'settore F, in platea sì, ma laggiù in fondo', no.. significava "Fila 1" e posto 13 ovvero e-s-a-t-t-a-m-e-n-t-e di fronte al microfono.. Ho dovuto fermare 10 hostess diverse e richiedere a tutte conferma del posto, perche' non avrei potuto uscire vivo dalla delusione dell'ultimo minuto. Era tutto vero. E la musica va vista così, osservando i muscoli facciali dell'artista, gli occhi, le smorfie della bocca.
Al contempo uno spillo si era conficcato nel mio petto pochi minuti prima dell'inizio.
Così si è pronti per questa serata, con un Nick Cave descisamente ispirato, che subito ci tiene a sbatterci sul muso alcune pagine piuttosto "colorite" del suo ultimo libro ("La morte di Bunny Munro" ed. Feltrinelli).

Una volta che ha chiarito senza possibili fraintendimenti di cosa siamo qui a parlare stasera, luci in sala e domande dal pubblico (sulle quali purtroppo è meglio sorvolare) e quindi si lancia in una interpretazione incredibilmente sentita e profonda di alcuni dei suoi pezzi più famosi.
Ad esempio avevo già sentito dal vivo Into my arms ma era diventata una mezza farsa (fra l'altro proprio qui a Milano aveva prestato il microfono ad una malefica stonata in prima fila per più di metà della canzone). Invece l'altra sera è tornata quello che è: una canzone di bisogno assoluto di compimento. Così come vale per l'altrimenti ironica e dissacrante God is in the house.
Stasera tutto torna vero vero.
Lo stesso dicasi per Mercy Seat, o per brani arrembanti come Tupelo o Dig! Lazarus, dig! dove i tre avventurosi sul palco si sono lanciati in fatiche disumane per rendere la tensione e lo sfascio della canzone e rendere giustizia di un casino pari solo ai Bad Seeds al completo.
Una prova, anche dal punto di vista musicale coraggiosa e sopraffina. Un riarrangaimento dei brani con un desiderio unico di riviverli. Ed è indubbio che questa rinnovata freschezza espressiva nasca dal fatto di aver (ri)detto tutto, ma proprio tutto, nel suo libro.



Folkloristico il suo fedele compagno Ellis nell'involuto distribuirsi tra maracas, violino (poco), chitarre mignon e percussioni. Apocalittico.
Mentre nel suono cosi' spoglio ed essenziale --così caro agli amanti del migliore punk-rock-- si capiscono tante cose sentendo emergere con prepotenza cristallina quel basso staordinario, pulito quanto efficace (grande Casey!).
Come emerge nelle liriche e nel suo nuovo romanzo Nick Cave va fino in fondo; ci presenta una commovente carrellata di canzoni d'amore (quelle tristi come dice lui, quelle dove la mano di Dio viene a raccattarti nel tuo recesso più nascosto) Weeping Song, Are you the one that I've been waiting for e una spettacolare Lucy.
Talvolta sembra, per chi non intenda scendere a compromessi, che esista solo la scelta tra la dannazione o qualche personaggio ironico giàsalvo che si tiene geloso il suo dio e che di cazzate lui non ne fa.
A noi invece per questo ci piace Nick: o la redenzione arriva fino al Bunny Munro che c'è in ciascuno di noi, oppure sono tutte balle.

God is in the house
Oh I wish He would come out

9 ottobre 2009

Sono anch'io un poveretto, ma oggi sono grato

Il cofanetto dedicato a De Gregori e' superlativo.
E, per quanto mi riguarda, non solo per la musica in esso contenuto.
La lettura del libretto, "accompagnato" dall'ascolto del gran disco, è piacevole e superba.
Chiaramente si provoca, visto che Rimmel e' un album capolavoro..
Mi ha creato un certo imbarazzo solo andare in giro con quello scatolone gigante.. ma l'insieme e' notevole. Benchè --mi si perdoni-- non so se De Gregori avrebbe meritato tutto quello spazio nella mia libreria. Paolo Vites invece sono sicuro di sì.
In fondo quello che metti in libreria dice chi sei e a cosa tieni, no?
Già Vites ci aveva viziato (ascolto + lettura) con il suo libro "Bob Dylan 1962-2002. 40 anni di canzoni" unico nella sua piacevole, scorrevole quanto precisa e profonda lettura di disco-per-disco e canzone-per-canzone.
Una manna per chi ama ascoltare musica con orecchie, occhi e tutto sé stesso.
E questo libro su "Rimmel" si conferma nella migliore vena del giornalista, con le domandi semplici ma lontane mille miglia dalla banalità (banalità tipica delle domande cui siamo abituati, come fastidiose molliche digerite di pane).
Approfondimenti originali e unici ma lontani mille miglia dalla pedanteria saccente.
Per ovviare alla occupazione di spazio nella libreria, dovrò appiccicare un'etichetta ("Paolo Vites") sopra il box ;-)



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La seconda notizia, è che ieri pomeriggio mi si e' sciolto un grosso nodo di tensione..
Il disco di natale di nonno Bob, "Christmas in the Heart" e' veramente fiko.

Vi confesso che ero piuttosto stressato quando ho schiacciato play... invece..
Il disco è quanto mai poco banale ma altrettanto piacevolissimo (The Christmas Song, Christmas Island), toccante (Winter Wonderland, O' Little Town Of Bethlehem), con alcuni momenti altissimi (The Christmas Blues, I'll Be Home For Christmas, Little Drummer Boy) e un paio di canzoni da sballo (Here Comes Santa Claus, Must Be Santa)
La cosa ancora più incredibile è che il disco è cantato benissimo.
Con devozione.
Il che rende grandiosa la voce gracchiante di Dylan che riporta sulla terra anche quelle angeliche background voices scese direttamente con gli angeli a svegliare i pastori, ma dolcemente.
Qui si canta parola per parola, si è presenti a quello che succede (ascoltare per credere il parappa-pa-pa su Little Drummer Boy).. altro che voci estremamente curate piene più di sé stesse che del Natale.
Porca miseria.. potrei aver finalmente trovato un disco di natale che amerò.. che è merce assai rara..

Sono grato.
Amen (come finisce anche il disco)