8 febbraio 2010

If you got something to say, say it to me Noooow !

Ieri sera, 7 Febbraio, una serata trascendente.

C'è subito da annoverare il fatto che questi concerti sono una rarità assoluta.
Grandi autori (come troubadour di un tempo) in una location intima, il Conservatorio di Milano, che ha cura della musica come una botte di rovere ha cura del vino buono.
E straordinari performer nel momento magico dell'esplosione artistica, in cui hanno ancora tutta l'urgenza di un mondo da raccontare che esplode in tutti gli angoli, in tutti i pieni (di suono) e in tutti i vuoti (acustici).
Wow!.......... Si esce provati e svuotati di energie ma ripieni nello spirito.

Ottimo e convincente Josh che canta vicende personali quanto universali, discreto ma deciso. Come chi abbandona i campi di patate dell'Idaho per avventurarsi, armato solo di una chitarra, nel terreno del destino in punta dei piedi a descrivere quello che vede.


(Ok, la foto non è un granchè, but... who cares!)

Ma sopra tutto mi ha colpito la statura: l'amore fuori da fiocchi e merletti.
L'amore è una cosa grande, ma una ferita aperta, come mordere un sasso. Da uomini (uomini consumati come una chitarra raschiata da ripetute e ripetute pennate che non sanno contenere tutta l'urgenza di un cuore che grida) si fa i conti, prima che con l'istinto, con la bussola (the inner compass) che ci suggerisce sempre qual'è il giusto e lo sbagliato.
Ma è una voce discreta, che lascia tutto lo spazio perchè noi si faccia finta di niente e si faccia tutt'altro.
When you mind's made up (una delle mie preferite) è commovente, anche per gli sguardi che Glen continua a lanciare a Marketa (come già riportato da più insigne penna: http://gamblin--ramblin.blogspot.com/2010/02/when-love-comes-to-town.html), ma è Say It To Me Now a vincere, soprattutto in questa veste scarna e ruggente, un-plugged seduto sulla spia, solo voce e chitarra a lanciare il suo grido in faccia a tutti noi e su fino al cielo.
Il contrasto tra l'esplosione ruvida e soul di Glen con la pacatezza classica di Marketa è sicuramente una chiave di volta degli Swell Season che accentua il contrasto della vita, tra gioia e dolore, tra speranza e lo strappo di accettare quanto succede.

Thank you!
And God bless your soul, Glen and Marketa!

24 dicembre 2009

Nel bel mezzo.. Buon Natale!

Noi ci si affanna a cercare di sistemare le cose, ma siamo irrimediabilmente incapaci e in qualche modo Gesu' viene nel bel mezzo dei nostri casini.
Siamo ancora li' con lo scotch accartocciato, i regali non incartati, la forbice che non si trova, la pentola sul fuoco, la verdura da tagliare, il pensiero di quello che non abbiamo salutato e magari ci rimane male, con qualche rapporto decisivo incastrato (di cui abbiamo rimandato troppe volte la risoluzione).. e Lui arriva.
Grazie a Dio arriva come un bambino. che non chiede, se non di essere accolto.

L'unica fragile alternativa ai nostri piccoli o grandi caos quotidiani, l'unico insorgere di un compimento sorprendente quanto inaspettato, ad un tratto arriva.

Buon Natale.

26 ottobre 2009

Dove sta la rendezione, Mr bunny Cave?

Venerdì sera scorso, al meritevole teatro Dal Verme, si è assistito ad un evento. Musicale e non solo.
Come spesso accade quando si parla di Nick Cave, vi era la netta compresenza di estremi opposti fin dal momento di attesa pre-concerto.
Potete solo immaginare lo stato confusionale in cui sono entrato quando ho scoperto che "F1" sul biglietto non significava 'settore F, in platea sì, ma laggiù in fondo', no.. significava "Fila 1" e posto 13 ovvero e-s-a-t-t-a-m-e-n-t-e di fronte al microfono.. Ho dovuto fermare 10 hostess diverse e richiedere a tutte conferma del posto, perche' non avrei potuto uscire vivo dalla delusione dell'ultimo minuto. Era tutto vero. E la musica va vista così, osservando i muscoli facciali dell'artista, gli occhi, le smorfie della bocca.
Al contempo uno spillo si era conficcato nel mio petto pochi minuti prima dell'inizio.
Così si è pronti per questa serata, con un Nick Cave descisamente ispirato, che subito ci tiene a sbatterci sul muso alcune pagine piuttosto "colorite" del suo ultimo libro ("La morte di Bunny Munro" ed. Feltrinelli).

Una volta che ha chiarito senza possibili fraintendimenti di cosa siamo qui a parlare stasera, luci in sala e domande dal pubblico (sulle quali purtroppo è meglio sorvolare) e quindi si lancia in una interpretazione incredibilmente sentita e profonda di alcuni dei suoi pezzi più famosi.
Ad esempio avevo già sentito dal vivo Into my arms ma era diventata una mezza farsa (fra l'altro proprio qui a Milano aveva prestato il microfono ad una malefica stonata in prima fila per più di metà della canzone). Invece l'altra sera è tornata quello che è: una canzone di bisogno assoluto di compimento. Così come vale per l'altrimenti ironica e dissacrante God is in the house.
Stasera tutto torna vero vero.
Lo stesso dicasi per Mercy Seat, o per brani arrembanti come Tupelo o Dig! Lazarus, dig! dove i tre avventurosi sul palco si sono lanciati in fatiche disumane per rendere la tensione e lo sfascio della canzone e rendere giustizia di un casino pari solo ai Bad Seeds al completo.
Una prova, anche dal punto di vista musicale coraggiosa e sopraffina. Un riarrangaimento dei brani con un desiderio unico di riviverli. Ed è indubbio che questa rinnovata freschezza espressiva nasca dal fatto di aver (ri)detto tutto, ma proprio tutto, nel suo libro.



Folkloristico il suo fedele compagno Ellis nell'involuto distribuirsi tra maracas, violino (poco), chitarre mignon e percussioni. Apocalittico.
Mentre nel suono cosi' spoglio ed essenziale --così caro agli amanti del migliore punk-rock-- si capiscono tante cose sentendo emergere con prepotenza cristallina quel basso staordinario, pulito quanto efficace (grande Casey!).
Come emerge nelle liriche e nel suo nuovo romanzo Nick Cave va fino in fondo; ci presenta una commovente carrellata di canzoni d'amore (quelle tristi come dice lui, quelle dove la mano di Dio viene a raccattarti nel tuo recesso più nascosto) Weeping Song, Are you the one that I've been waiting for e una spettacolare Lucy.
Talvolta sembra, per chi non intenda scendere a compromessi, che esista solo la scelta tra la dannazione o qualche personaggio ironico giàsalvo che si tiene geloso il suo dio e che di cazzate lui non ne fa.
A noi invece per questo ci piace Nick: o la redenzione arriva fino al Bunny Munro che c'è in ciascuno di noi, oppure sono tutte balle.

God is in the house
Oh I wish He would come out

9 ottobre 2009

Sono anch'io un poveretto, ma oggi sono grato

Il cofanetto dedicato a De Gregori e' superlativo.
E, per quanto mi riguarda, non solo per la musica in esso contenuto.
La lettura del libretto, "accompagnato" dall'ascolto del gran disco, è piacevole e superba.
Chiaramente si provoca, visto che Rimmel e' un album capolavoro..
Mi ha creato un certo imbarazzo solo andare in giro con quello scatolone gigante.. ma l'insieme e' notevole. Benchè --mi si perdoni-- non so se De Gregori avrebbe meritato tutto quello spazio nella mia libreria. Paolo Vites invece sono sicuro di sì.
In fondo quello che metti in libreria dice chi sei e a cosa tieni, no?
Già Vites ci aveva viziato (ascolto + lettura) con il suo libro "Bob Dylan 1962-2002. 40 anni di canzoni" unico nella sua piacevole, scorrevole quanto precisa e profonda lettura di disco-per-disco e canzone-per-canzone.
Una manna per chi ama ascoltare musica con orecchie, occhi e tutto sé stesso.
E questo libro su "Rimmel" si conferma nella migliore vena del giornalista, con le domandi semplici ma lontane mille miglia dalla banalità (banalità tipica delle domande cui siamo abituati, come fastidiose molliche digerite di pane).
Approfondimenti originali e unici ma lontani mille miglia dalla pedanteria saccente.
Per ovviare alla occupazione di spazio nella libreria, dovrò appiccicare un'etichetta ("Paolo Vites") sopra il box ;-)



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La seconda notizia, è che ieri pomeriggio mi si e' sciolto un grosso nodo di tensione..
Il disco di natale di nonno Bob, "Christmas in the Heart" e' veramente fiko.

Vi confesso che ero piuttosto stressato quando ho schiacciato play... invece..
Il disco è quanto mai poco banale ma altrettanto piacevolissimo (The Christmas Song, Christmas Island), toccante (Winter Wonderland, O' Little Town Of Bethlehem), con alcuni momenti altissimi (The Christmas Blues, I'll Be Home For Christmas, Little Drummer Boy) e un paio di canzoni da sballo (Here Comes Santa Claus, Must Be Santa)
La cosa ancora più incredibile è che il disco è cantato benissimo.
Con devozione.
Il che rende grandiosa la voce gracchiante di Dylan che riporta sulla terra anche quelle angeliche background voices scese direttamente con gli angeli a svegliare i pastori, ma dolcemente.
Qui si canta parola per parola, si è presenti a quello che succede (ascoltare per credere il parappa-pa-pa su Little Drummer Boy).. altro che voci estremamente curate piene più di sé stesse che del Natale.
Porca miseria.. potrei aver finalmente trovato un disco di natale che amerò.. che è merce assai rara..

Sono grato.
Amen (come finisce anche il disco)

28 luglio 2009

So long, Jam

AL DIRETTORE DELLA RIVISTA "JAM - Viaggio nella musica"

Direttore Guaitamacchi,

con sommo dispiacere ho scoperto che Jam ha perso l'autorevolezza, la penna inimitabile, le preziose conoscenze, la passione con pochi eguali e l'intelligenza profonda di Paolo Vites.

Sono ben consapevole del fatto che la realta' e' sempre complessa, e non e' giusto applicare sommarie semplificazioni.
Ma ho anche abbastanza responsabilita' nel mio lavoro per sapere che se non si riesce a trattenere le risorse fondamentali questa e' --senza scusanti-- grave responsabilita' del "capo".

Per questo, dopo anni di acquisto e lettura della rivista, pur nei limiti delle lievi conseguenze della mia scelta, desidero certamente informarLa del fatto che non acquistero' piu' neanche una copia della sua rivista Jam.

Disorientati saluti,

11 luglio 2009

Tutto quello che potevo fare era piangere

Mi è capitato di nuovo di inciampare in una canzone e rimanerne invischiato per giorni.
Come spesso mi accade in questi casi, la canzone --scoperta per una serie imprevedibile di coincidenze-- non è proprio allegra. E meglio ancora se interpretata da una gran voce femminile.

Mi imbatto in Cadillac Records, grazie ad una collega che non aveva neanche visto il film. Un lungo viaggio in treno nel weekend e me lo vedo. Il film narra la nascita, l'esplosione e la prematura conclusione della esperienza della Chess Records, mitica e discussa casa discografica americana dal '50 al '69. E narra il fiorire nientemeno che di Muddy Waters, Little Walter, H.Wolf, Chuck Berry ed Etta James. Blues nero disperato e primo rock'n'roll ("Questo non è blues.. non so che cazzo sia ma lo registriamo"), discriminazione razziale e musica sia per bianchi che neri, fra Chicago e il Mississipi.
Questi film in realta' sono piuttosto 'finti' come la rappresentazione che danno dei personaggi, lo si capisce.
E ci sono alcune scene che fanno parecchio sorridere, come quella di Lomax che va in giro a registrare canzoni.
Ma intanto io sono piuttosto affamato di musica e dei relativi retroscena, cosi' come delle origini della musica. E qui se non altro ci ho trovato un po' di informazioni ed alcune ambientazioni.

Ma probabilmente l'intento del regista è sincero, tanto che un personaggio riesce bene. Anzi non tutto il personaggio, in verità. Va certo premiata la scelta coraggiosa di Beyonce ad interpretare la splendida Etta James. Come attrice è tutto tranne che irresistibile, certo, ma quando canta..
Deve confrontarsi con un pezzo da brivido, ma lo fa con enorme professionalità, con gran capacità e con coinvolgimento sublime.
Quella scena sì, suona davvero vera.
Saro' sensibile, ma ci sono rimasto incastrato.

"Sei poco donna per questa canzone. La canzone parla d'amore, lo sai che significa? Sei mai stata lasciata da uno stronzo? Uno che non solo ti ha lasciata ma ha anche sposato con un altra.. Lo sai come ci si sente?"
"Fammi riprovare.." E parte una interpretazione straziante, viscerale.

Di quelle canzoni che in fondo sono quello che cerchiamo, di cui abbiamo bisogno quando ci avviciniamo allo stereo (o all'iPod).
Quelle canzoni che sono la musica.
E tutto quello che potevo fare era piangere.

All I Could do was Cry (Etta James)
I heard church bells ringing
I heard a choir singing
I saw my love walk down the aisle
On her finger he placed a ring

Oh, I saw them holding hands
She was standing there with my man
I heard them promise "Till death do us part"
Each word was a pain in my heart

All I could do, all I could do was cry
All I could do was cry
I was losing the man that I loved
And all I could do was cry

Yeah and now the wedding's over
Rice, rice has been thrown over their heads
For them life has just begun
But mine is at an end

All, all I could do, all I could do was cry
All I could do was cry
I was losing the man that I loved
And all I could do was cry




Ragman

8 luglio 2009

Maria protegga Bono, Suu Kyi e ciascuno di noi

Ieri sera una serata che sara' impossibile dimenticare.
Come non ripensare tutta notte ai 90,000 fedeli (nel senso di fan, ovviamente) che rimangono incollati ad ascoltare l' Ave Maria che chiude il concerto, sotto quel palco che --dice qualcuno-- ricorda cosi' tanto la cattedrale di barcellona, la Sagrada Familia?

Sono arrivato a s.siro moderatamente gasato: preoccupato per le condizioni vocali di bono, contento di rivedere mia moglie e di farle un regalo, pieno comunque di aspettativa (per quanto esplicitato da P.Vites in questo articolo: Paolo Vites su ilsussidiario.net).
L'atmosfera (salamella e salsiccia con rapporto peso/prezzo equivalente allo zafferano..) e' di festa, si capisce subito.
I supporter fanno due gran pezzi, l'audio e' sorprendetemente eccellente e lo stadio gia' quasi pieno saluta e batte le mani. I soliti cafoni in piedi alla balustra non riescono a rovinare il senso di attesa.

Le luci si spengono e comincia un'ora di rock a ritmo devastante. Davvero tirato, non me l'aspettavo.



Highlights assolute: il medley I Still Havent Found + Stand By Me e poi, dedicata a Michael Jackson, il medley Angel of Harlem + Man In The Mirror.
Al culmine della esaltazione chiama sul palco la figlia, per festeggiare il suo compleanno e le dedica Party Girl. Party Girl! Sono tornato indietro di 15 anni.

Devo sedermi (completamente sudato, of course). Anche Bono accusa e per un paio di pezzi non riesce a controllare appieno la situazione, non riesce a chiudere le canzoni che pure canta "a cappella" con il pubblico.

A questo punto passa al dunque: il rosario esce da sotto la maglietta e introduce la dedica della serata: Aung San Suu Kyi, prigioniera politica del Burma dal '90.
Interpellando ciascuno di noi, come non fossimo in 90,000 ma in 10: cosa stai facendo tu per la giustizia?
Arriva addirittura l'esortazione a Berlusconi perche' mantenga la promessa sul debito: non e' troppo tardi, ci sono 3 giorni prima del G8. E gli dedica "One" (meriterebbe solo per questo!)
Come ha detto prima di Beautiful day: sono tempi difficili, quindi ogni momento vale tutto (vale l'eternita').

Pride, Sunday bloody sunday con le parole in arabo su sfondo verde, With or without you.. ce n'e' per tutti.
La voce, che troppo spesso era rimasta un po' coperta dal suono, viene invece fuori con prepotenza e grazia splendente sulla commovente chiusura con Moment of Surrender.

Effetti spettacolari, scenografia esagerata. Ma che sembra naturale. E' infatti talmente chiaro che il "punto" della serata non e' lo spettacolo fine a se stesso, che questi effetti scenografici non sembrano "esagerati". Gli U2 si esprimono cosi', non scendono a compromessi sono sempre un passo avanti.

L'abbraccio finale fra i quattro ci ricorda quanto questa band sia particolare, nella fedelta' e nella solidita'. Una band unica, anche in questo.
E poi, come detto, ci lasciano le note dell'Ave Maria a sottolineare che eravamo li' tutti (noi come Bono e i suoi) per una domanda grande, grande piu' del coro di 90,000 voci, grande piu' della struttura del palco che si spinge fino al cielo.

Moment of Surrender


(foto non di ieri sera)

19 maggio 2009

Licei in fiamme per amore d'Irlanda !

La ShamRock band prosegue il Tour e mette a ferro e fuoco i licei!!

Il 14 Giugno si chiude con fragore il Liceo Alexis Carrel:




Ma prima, ancora, il 7 Giugno tocca chiudere anche il Liceo Frassati di Seveso:

21 aprile 2009

La novita' dell'anno: the ShamRock Band !



Una serata di grande musica si e' tenuta lo scorso 19 Aprile !

The ShamRock Band
19 Aprile 2009
(Parrocchia s. Vincenzo de’ Paoli)


1. Marschlua ui neill (O’Neill March) *
2. Whiskey in the jar
3. Cockles and mussels (Molly Malone)
4. Star of the County Down
5. Kesh jig *
6. The Town I Loved So Well
7. Mormond braes
8. Young Catherine *
9. The Foggy Dew
10. From Clare to Here
11. Galway bay
12. Bretone 1 *
13. Only Her Rivers Run Free
14. The Fields of Athenry
15. Atholl Highlander *
16. Jerry’s Bearer *
17. Home Boys Home
18. The Wild Rover
19. I’ll Tell Me Ma


The ShamRock band:
Eleanor – voce, mani
Giorgio – voce, chitarra, tin whistle
Zott – fisarmonica, piede ritmico
Pier – violino, cultura d'irlanda
Mr Xmas – tin whistle, chitarra, armonica, mandolino
Ste – banjo, voce

18 aprile 2009

But I tell you one thing..

"..nobody can sing like Blind Willie McTell".
Una cosa è sicura: tu proprio non puoi cantare come Blind Willie, Mr Zimmerman.

Mercoledì scorso, il 15, eravamo al Forum a vedere lo zio Bob. Come mancare? E' sempre un'occasione di vedere belle facce, facce in cui è visibile la narrazione di un gran numero di cose viste e vissute. Anche musicalmente parlando ne hanno viste di cose, queste facce.
Prima di entrare, in mancanza della salsiccia (a proposito: ma perchè al Forum non c'è il botteghino con salsiccia e cipolla?!) parte il dilemma hot dog o pizza? Nessun dubbio invece sulla birra media. Quella annacquata, nei bicchieroni di plastica.
E poi le due facce trovate in modo inaspettato, facce tese perchè non si riuscivano a trovare i biglietti e la stampante al botteghino si era inceppata. Nonchè la rabbia per la classica scena di quello bloccato al cancello del parterre, che non lo fanno entrare perche' munito di biglietto non numerato del secondo anello (sai, quello che costa meno..).
Scene da musica "viva" (live appunto). E di sicuro questa è stata la parte migliore della serata.

Il resto della serata (ovvero il concerto) segue in un modo talmente, stancamente e terribilmente uguale a se stesso, di pezzo in pezzo, che non vale neanche la pena di citare i brani sentiti.
Sentiti? Mah.. L'acustica del Forum non aiuta per nulla, certo. Ma quello era in ogni caso un polpettone indigesto di versi e abbozzi di suoni irriconoscibili. Quel poveretto in fondo si è affaccendato tutta la serata a prendere strumenti vari, compreso un violino, ma tanto secondo me si erano dimenticati di connettere il suo jack all'ampli. Missing.

Una carrellata irriconoscibile e sconcertante. Compresa, su Just Like a Woman una scenografia da coretto della scuola (scuola americana) con tutte le stelline per la festa dell'albero, una volta conosciuta come festa di Natale.

Alla fine mi è difficile allontanare il pensiero che Bob lo faccia apposta. Sprezzante verso i fan che in ogni caso applaudono.
E' triste ma è così. E il problema è che questo pensiero ci azzecca pure con il personaggio. Sempre meglio, forse, che pensare che abbia proprio perso il controllo della sua mente.
Uno come Bob che ha scritto quello che ha scritto e che ha suonato quello che ha suonato, non può non accorgersi di quello che ha fatto e suonato l'altra sera. Non può. Non può non accorgersi di come suona l'armonica (due-note-due!) in particolare sulla Blowin' in the wind finale. Non può non accorgersi di quanto sia orribile quel modo saltellato di cantare e la cantilena che partiva nella seconda metà di ogni canzone.
Non può non accorgersi che dopo l'unica canzone non bella ma almeno decente della serata, la arcisentita Watchtower, ci ha ammazzato con la penosa Spirit on the water e quella inascoltabile Blowin' in the wind, con la già citata performance all'armonica..
All'amico seduto di fianco a me, compagno di sventura, avevo promesso che se avesse finito con una orribile Blowin' in the wind mi sarei saltato i suoi prossimi due concerti... E purtroppo tendo ad essere uomo di parola.
Fare thee well, Mr Taburine.